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LA TEORIA RELAZIONALE DELLA FELICITA'

"La felicità ha natura paradossale proprio perché è costitutivamente relazionale: una 'vita buona' non può essere vissuta se non con e grazie agli altri"1 Con questa espressione Zamagni e Bruni gettano le basi per la teoria della "felicità relazionale", la quale sembra rappresentare una delle spiegazioni più attraenti del paradosso della felicità.

La teoria della scuola italiana, pur considerando la ricchezza un prerequisito importante della felicità (tra poco si capirà per quale motivo), ritiene che l'essere umano per essere felice necessiti di amici. L'idea di fondo è che il benessere soggettivo sia, in gran parte, influenzato dalla sussistenza di rapporti intersoggettivi: maggiore è il tempo che si "spende" nei rapporti umani per fini non strumentali, maggiore è il livello di felicità che si raggiunge. In sintesi, nella teoria relazionale il concetto di felicità, pur restando indefinito, trova il suo fondamento nell'idea di relazionalità "genuina" (come già ricordava Aristotele, non si può essere amici genuini per interesse).

Secondo la teoria in oggetto, la felicità (F) è funzione sia del reddito individuale (inteso come mezzi materiali) (y) che dei beni relazionali fruiti dall'individuo (r), categoria di beni, su cui ci si è a lungo soffermati nel secondo capitolo, la cui utilità per il soggetto che ne fruisce dipende, oltre che dalle caratteristiche intrinseche ed oggettive anche dalle modalità di fruizione con gli altri soggetti. Volendo formalizzare:

F = f (y, r) (1)

con

F ' y > 0 se Y < Y soglia

F ' y ≤ 0 se Y > Y soglia

F '' y ≤ 0

F ' r > 0

F '' r ?

Quale significato potrebbe essere attribuito a questa funzione? Occorre partire innanzitutto dalla variabile esplicativa: "reddito". Nello specifico, l'attenzione va posta sulle variazioni positive di reddito, in quanto esse hanno un duplice impatto sulla felicità:

- positivo e diretto, per "bassi" livelli di reddito. Al di sotto di una certa soglia, una variazione positiva di reddito consente, infatti, a chi è povero di soddisfare le esigenze primarie e di curare meglio i rapporti intersoggettivi. Detto in altro modo, dà la possibilità ad un individuo di raggiungere, attraverso il miglioramento dei suoi rapporti con gli altri, un più alto livello di soddisfazione;

- negativo e indiretto, per "elevati" livelli di reddito. Oltre una certa soglia (il cosiddetto punto critico) è, invece, plausibile ritenere che una variazione positiva di reddito determini - in parte - una riduzione del livello di soddisfazione. Dopo il punto critico, infatti, guadagnare di più vuol dire anche lavorare molto di più e di conseguenza non avere tempo per gli altri, da qui è chiara la riduzione di felicità, la quale è dovuta alle conseguenze negative che indirettamente un aumento di reddito produce sulle relazioni intersoggettive non strumentali.

Il primo effetto del reddito sulla felicità (positivo e diretto), si rifà al noto capability approach di Amartya Sen, in cui si rivaluta l'importanza del "denaro" per la felicità (well-being). Detto in altri termini, la rilevanza che egli attribuisce al reddito è connessa ai vantaggi da esso estraibili in termini di benessere e libertà. La possibilità del reddito di trasformarsi in benessere effettivo per le persone sembra dipendere da diverse "fattori":

- eterogeneità delle persone (ad esempio presenza di limitazioni fisiche o malattie);

- diversità ambientali (clima);

- variazioni del clima sociale (sistema scolastico, diffusione del crimine eccetera);

- differenze relative (essere poveri in una società ricca può limitare la partecipazione del soggetto alla vita sociale);

- distribuzione intra-familiare (dipendente da sesso, età o altro).

 

Da questa serie di considerazioni Sen trae la conclusione che il benessere del soggetto debba essere espresso con una formula più generale, come capacità di realizzare i propri obiettivi. I due concetti fondamentali con cui esprimere questa forma di benessere inteso come "libertà reale" sono, come è noto, funzionamenti e capacitazioni. Nello specifico, la felicità è strettamente connessa, per usare il linguaggio di Sen, alle cose buone che una persona riesce oggettivamente a fare, a quello che l'economista e filosofo indiano definisce l'insieme delle combinazioni alternative dei stati di essere o di fare (funzionamenti) che un individuo è in grado di raggiungere a partire dal complesso dei beni in suo possesso, dalle caratteristiche fisiche, dalle condizioni esterne, dal capability set.

 

La ricchezza è, dunque, concepita come un valido strumento che consente di ampliare il well-being, ciò attraverso le capacitazioni e in ultima analisi dei funzionamenti, tra i quali sembrerebbe che rientrino (il condizionale è d'obbligo, in quanto Sen, come è noto, non ha mai indicato quali siano i funzionamenti) - secondo Motta2 - molti elementi di natura relazionale, come "avere appaganti relazioni sociali", "essere integrati e sentire di appartenere ad una comunità", "essere in grado di scambiare esperienze con gli altri". Si tratta di quelli che lo stesso Motta definisce "funzionamenti relazionali".

A questo punto dovrebbe essere chiaro il tentativo che si compie in Motta così come in Comin e Carey3 e cioè "relazionalizzare" l'approccio seniano.

A questo proposito occorre, però, precisare che tale chiave interpretativa non risulta in linea con quella di Sen. Egli, nonostante abbia più volte sottolineato esplicitamente l'importanza delle interazioni sociali all'interno del capability approach "(…) le opzioni che una persona possiede dipendono fortemente dalle relazioni con gli altri"4 considera come unità di analisi fondamentale: l'individuo. Una delle critiche mosse, infatti, al suo approccio è proprio quella di essere eccessivamente "individualistico" e di non considerare con sufficiente attenzione il ruolo dei gruppi e delle strutture sociali nella valutazione del benessere individuale.

Chiarito il ruolo del "denaro" nel capability approach ritorniamo alla tesi dei teorici italiani, per i quali, vale la pena ribadire nuovamente che "(…) il benessere economico non è ritenuto interessante in sé, ma in quanto mezzo che aumenta le libertà possedute dall'individuo per realizzare ciò che più di tutto egli può desiderare: il proprio modo di essere"5.

 

Ecco perché ad una variazione positiva di reddito (fino a quando non si raggiunge il punto critico) si accompagna un aumento di felicità (e viceversa). Ma questo dato non è in contrasto con il paradosso della felicità? Non spiega, infatti, il motivo per il quale "disporre di più reddito" (almeno a partire da un certo punto) rende, i diversi paesi così come i singoli individui, "meno felici e soddisfatti".

 

Se è vero, infatti, che la ricchezza è importante per le cose che ci permette di fare e per le libertà sostanziali che ci aiuta a conseguire, è anche vero che un aumento del benessere economico può non risolversi in un aumento di felicità se non è compatibile con una diffusione ed una qualità adeguata di rapporti interpersonali. Ciò che può verificarsi è che il "benessere economico" si trasforma sì in "benessere soggettivo" ma solo in parte. E' proprio su questo aspetto che si concentrano, Bruni e Zamagni, secondo i quali un incremento di reddito rende sicuramente, per svariati motivi, gli esseri umani più felici, ma può essere esso stesso all'origine dell'"infelicità" degli individui. Il motivo è legato al fatto che la crescita economica alimenta una dinamica di deterioramento delle relazioni sociali. Numerosi sono, infatti, gli studi empirici (Lane, 2000; Kahneman e altri 2004; Bruni e Stanca, 2006) in cui si dimostra che "incrementi di reddito" producono sistematicamente effetti negativi sulla qualità e sulla quantità dei beni relazionali, facendo diminuire la felicità che si trae da quest'ultimi e di conseguenza il livello generale di benessere soggettivo (secondo effetto del reddito sulla felicità, negativo e indiretto).

 

Note

1 BRUNI, L., ZAMAGNI, S. (2004), Economia civile, il Mulino, Bologna

2 MOTTA, A. (2006), Funzionamenti, capacità e interazioni sociali, Le potenzialità dell'approccio di Sen in materia di relazioni interpersonali, in Sacco, Zamagni    (a cura di), Teoria economica e relazioni interpersonali, il Mulino, Bologna

3 COMIM, F., CAREY, F. (2001), Social Capital and the Capability Approach: are Putnam and Sen Incompatible Bedfellows?, St Edmund's College, University of    Cambridge, Mimeo

4 SEN, A.K., DRÈZE, J. (eds.) (2002), Development and Participation, Oxford University Press, Oxford

5 SEN, A.K., (2002), Globalizzazione e libertà, Mondadori Editore, Milano

 

Melania Verde

 

 

 

 

 

 

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